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Cultura
Claudio Piani racconta in un libro i suoi quattro anni di viaggio e avventura
“Il mio Vagabondiario, tra Quarto Oggiaro e l’Asia”
Federico Russo | 16 aprile 2019

Mio padre da bambino mi leggeva l’Odissea. Perciò sono cresciuto con il mito di Ulisse”.
Può bastare questo perché un ragazzo di 27 anni, con un lavoro sicuro e una vita tranquilla, decida che è arrivato il momento di dedicarsi all’avventura. E si ritrovi, in poco più di quattro anni, a viaggiare dall’Italia all’Indonesia coi mezzi pubblici, da Singapore a Milano in autostop e dal Tibet a Milano in bicicletta. E in mezzo, tra un ritorno a Milano e l’altro, in Cina a insegnare a scuola. 78mila chilometri percorsi, 33 nazioni attraversate.
Claudio Piani ha raccontato la sua esperienza in “Vagabondiario - Cronache di un romantico avventuriero”. Il Fuorisalone ha dato a Claudio la possibilità di presentarlo anche nella sua Quarto Oggiaro, nel Circolo Arci “Itaca” di Piazzetta Capuana. Lì abbiamo ascoltato il suo racconto, suddiviso nelle quattro “avventure” già citate.

 

Dall’Italia all’Indonesia - “Facevo l’allenatore di basket all’istituto San Carlo, avevo la mia vita. A un certo punto però ho sentito che dovevo mettermi in gioco, e così mi sono preso un anno sabbatico. Sono partito il 6 agosto 2014, zaino in spalla. Ho attraversato Polonia, Bielorussia, Russia, Mongolia. Tutto esclusivamente coi mezzi pubblici, Transiberiana compresa. Avevo un budget di circa 10 euro al giorno, sono riuscito a farmeli bastare grazie all’estrema ospitalità che ho sempre incontrato ovunque. Mi sono adattato anche a fare lavori come raccogliere gli escrementi di mucche, usati per fare il fuoco! Solo ai confini ho dovuto fare trattative estenuanti per i visti. Mi sono avvalso dell’esperienza dei turisti che facevano il percorso inverso”.

 

Poi com’è proseguito il viaggio?
“Ho attraversato Cina, Sud Est asiatico, mi sono fermato a Jakarta. Esauriti i soldi, ho ottenuto un visto per l’Australia, sapendo che lì avrei potuto lavorare abbastanza da potermi pagare il ritorno. E infatti così è andata: ho fatto tre lavori per alcuni mesi con ritmi massacranti, e una volta messo da parte il denaro sufficiente mi sono preso il secondo anno sabbatico e ho fatto il viaggio di ritorno in autostop”.
 

Da Singapore a Milano - “Stavolta ho fatto un percorso diverso, passando per l’India e circumnavigando l’Himalaya. Ho avuto tantissimi compagni di viaggio, un’esperienza straordinaria”.

Come è visto un italiano?
“Essere italiani è una fortuna, siamo molto apprezzati, magari anche per i motivi più disparati: nei Paesi dell’ex URSS Toto Cutugno, Al Bano e Adriano Celentano sono delle celebrità! Ma, in generale, c’è scarsa conoscenza del nostro mondo. L’Occidente è visto come un Paese unico con una lingua unica, l’inglese”.

 

La Cina - “Tornato in Italia, ho fatto fatica a reinserirmi. Evidentemente, non ero ancora soddisfatto. E allora ho deciso che quello che sapevo fare meglio - insegnare basket - potevo farlo in Cina, Paese di cui volevo approfondire la conoscenza. Mi sono ritrovato a Shenzhen, città di 15 milioni di abitanti, in un quartiere periferico che poteva essere “la Quarto Oggiaro di Shenzhen”. Ho insegnato basket in una scuola di oltre 2mila bambini, portando un metodo decisamente diverso rispetto a quello molto formale tipico della loro educazione. Con molte persone c’era l’impossibilità totale di comunicare, perché non tutti lì parlano inglese. Cionostante, ho sempre sentito verso di me un grande rispetto. E una curiosità fortissima, dovuta perfino a elementi fisici - la barba, i peli sulle braccia - a loro sconosciuti. Mi hanno dato un nome locale che nella loro lingua significa “grande montagna”: rispetto a loro, mi vedevano come un gigante”.
 

Che idea ti sei fatto di quel Paese?
“La Cina è un Paese che sta gestendo con molta disciplina l’enorme crescita che sta vivendo. La libertà, la democrazia così come le intendiamo noi occidentali non sono necessità avvertite da gran parte della popolazione. Anche se di domande “tabù”soprattutto dai più giovani ne ricevevo parecchie. Essere occidentale mi faceva apparire come quello che poteva aprire molti orizzonti”.

 

Dal Tibet a Milano - “Dopo un anno di vita in Cina, ho capito che a quella gente che mi aveva accolto dovevo restituire qualcosa. E allora ho deciso di sponsorizzare il mio viaggio di ritorno in bicicletta, chiedendo online donazioni per un orfanotrofio nepalese, la Tashi Orphan School di Katmandu (a cui vanno anche i proventi del libro). E così il 31 luglio 2018 sono salito in bici e dopo avere attraversato deserti, montagne, Mar Nero e Mar Caspio, il 16 dicembre sono tornato a Milano”.

 

Definitivamente?
“Per ora penso proprio di sì. Ma intanto tengo viva la mia pagina Facebook “Vagabondiario - Cycling home from Tibet”. Se ci saranno nuove avventure, potrete seguirle lì!”.

 Per ora, Ulisse, si gode il ritorno a Itaca.

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